Eravamo lì noi tre, con quel fare da galline che ci viene bene nei locali. “Scatta tu, no dai. Scatto io!” Eh, ma la risoluzione. “Dai che Samsung ha la fotocamera migliore!”. “Si ma poi la devi filtrare con Vsco”. E poi mettila su Facebook e Instagram. “Si però taggate questa volta!”. E il gruppo su Whatsapp? No, c’è la Vergani, “quando cazzo la escludiamo quella palla al piede?”.
Brindiamo a prosecchino.
E il dolcetto veg che tiene a bada la voce interiore: siamo light e cruelty-free. Noi gli animali non li ammazziamo, noi mangiamo quinoa per un mondo migliore. E poi lo sanno tutti, che gli animali son più buoni delle persone.
Si avvicina a passi lunghi, mi pare indiano.
Ha un’aura speziata intorno, che emana dalla pelle lucida. Ai piedi ciabatte consunte. E unghie spesse, gialle, una difesa cornea contro il gelo delle strade milanesi. “Ciao bella, compra rosa”, appoggiando sul mio piatto una rosa rossa e una rosa rosa.
No grazie.
No grazie.
E noi tre ridiamo, con le borse bene in vista. Con moine da feline e forchette da ingoiare. Per un selfie bon ton-sexy, da più di cento like. Vattene. Non se ne va. Puzza. L’autoscatto non ci viene bene.
“Hai sentito?” Lo guardo dritto in faccia. “Non vogliamo le tue rose”.
E insieme avviciniamo alle labbra il biscotto alla zucca, infantili e civettuole, con la faccia fissa sul cerchietto della messa a fuoco. “Ragazze, ferme…dai!”. Oddio, appena in tempo, forse Giò si è mossa. Lo scatto è senza flash, con il ritardo impostato di quindici secondi.
“Riguarda, muoviti!” Le mie amiche ridono, io torno indietro e ricontrollo la foto. No, dai. È mossa, non va bene.
Lui è ancora lì, con le due mani appiccicose, che da tanto non stringono altre mani, solo spine ed elastici bagnati.
Facciamo un altro scatto, ci mettiamo ancora più vicine, volti tirati. Ed ecco la posa, perfetta: premo il tastino e parte il conto alla rovescia.
Allora è una frazione di secondo. Lui afferra la rosa rossa, la solleva dal tavolo. La mette, repentino, davanti ai nostri occhi dagli sguardi ammiccanti. Copre i nostri volti davanti al cellulare.
E poi via, veloce, imbocca l’uscita del locale.
“No, che stronzo!” È un coro di oche. “Ha rovinato la più bella!”
Fammi vedere.
C’è una rosa rossa in questa foto, una sagoma mossa. Noi no. Noi non ci siamo.
Ci sono petali sfocati, che sanno di smog, di freddo. Di porte chiuse in faccia. Ci sono kilometri macinati nel vento e un addio in una stazione.
C’è un piatto di curry freddo e un sari calpestato dalla polvere. Quasi dieci anni fa.
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2 Commenti
Agnese
16 Luglio 2016 at 19:32
Francesca Crippa
18 Luglio 2016 at 9:39
Pennellate ben messe che oltretutto denotano sensibilità e delicatezza d’animo non comuni: fantastico il riscatto finale!
Grazie Agnese. Hai detto bene: questa, in fondo, è una storia di riscatto…
Un abbraccio a te.