Rose sul gradino.

Cinque rosse e una bianca. A Milano.

Sono davanti a un portone con la grata, abbandonate su un gradino alto almeno una ventina di centimetri.

Metti che queste rose le ha lasciate lì una donna bionda, qualche capello bianco che appena si intravede.

Ha capito che il suo uomo la tradisce, si è arrabbiata e ha perfino inciampato nel marciapiede. Lui voleva farsi perdonare. O almeno continuare a recitare.

Oppure le ha appoggiate un venditore cingalese con la felpa dell’Adidas, un omino distratto. Le ha dimenticate lì.

Si è seduto sulle scale per qualche secondo, perché faceva freddo e aveva trovato una sigaretta per caso. L’aveva chiesta a un uomo con la pancia tonda, in giro con la moglie e con la figlia, tutte impellicciate, a cercare i primi regali di Natale.

Invece le ha messe lì un ragazzo di diciassette anni, di Pavia, che le ha comprate da un fioraio in centro, un salasso, un bel pensiero per il grande amore. Bella, questa storia di sospiri. Finirà presto. Ma lui e lei staranno ancora insieme.

Forse per sempre.

Queste rose, lo sappiamo, le ha portate un’infermiera, ascendente Capricorno, grande senso pratico. Non aveva cuore di lasciarle lì, sul comodino. Vicino al letto di quell’uomo che nessuno va mai a trovare. È in fin di vita, poveretto. Muore solo e senza rose.

Le prendo io, allora.

Me le porto tutte a casa. A me non piacciono i fiori, perché durano un giorno e dopo un giorno vanno già buttati. Io preferisco la roba da mangiare, che almeno finisce nella pancia. Anzi, guarda. È ora di cena, meglio andare.

Che profumo, però, queste rose. Che, tra l’altro, sono innocue. Senza spine. Non la meritano, la spazzatura.