Era così morbida. Il cielo mandava una luce di quelle che sanno prenderti in braccio, farti camminare a cinque centimetri da terra. La piazza gremita la avvolgeva come un nido. Gli stivali, tacco sottile e audace, emettevano un suono regolare.
Uno stormo compatto, in alto, ne annunciava il ritorno.
Primavera.
La sua giacca stava aperta, le gambe andavano tranquille, toniche e sicure. Era il tramonto di una bella sera di fine inverno, quando l’aria pungente cede il passo a una carezza nuova. Un desiderio lieve.
Se ne era accorta la scorsa settimana, l’aveva ripetuto a tutti quelli che incontrava. “La senti, che ritorna? Sono già due mattine che alle cinque si avverte un cinguettio, un verso inconfondibile: quello delle giornate che si allungano, del tepore che si posa sulle guance.”
Quella sera, poi, in Piazza Gae Aulenti ne ebbe la certezza: c’era da pensare al cambio dell’armadio, ai weekend fuori porta, al fondotinta più leggero.
C’era da innamorarsi.
L’uomo che aveva davanti si muoveva bene. Ecco, avrebbe potuto amare lui. S’immaginò di prenderlo sotto braccio, cercare un piccolo bar dove scambiarsi confidenze, scoprire il tocco di una mano salda sulla schiena. Anche un ragazzo davanti alla vetrina della Nike le era sembrato un compagno appetibile, un bel moretto con l’occhio di ghiaccio. Sarebbe partita in barca a vela con lui, a luglio, al largo di Pantelleria. E poi ancora, sotto il Bosco Verticale, le venne incontro un maschio elegante di mezza età, con una sciarpa verde adagiata su un panciotto blu. Originale, pensò. Mostre d’arte, gallerie, pinacoteche: con lui avrebbe scambiato baci appassionati all’ingresso del MOMA di New York.
Uomini, ancora uomini. Ancora li pensava, ancora li guardava.
Anche dopo quello che le aveva fatto lui, gettandola via. Preferendole altre donne.
Passeggiava con gli occhi spalancati, faceva in modo che le sue pupille non perdessero alcun dettaglio: fu questo, a farglielo capire. Lo sguardo sul mondo, di nuovo attento, di nuovo partecipe di tutto, le fece intuire che era giunto il tempo di guarire.
C’è un istante in cui ogni salvezza, del corpo e dell’anima, diventa realtà.
Era finita l’epoca delle tapparelle chiuse, delle lacrime che scendono sul collo, del rifiuto del cibo e della gente. Mise il piede sull’asfalto e d’un tratto scorse una pozzanghera. Era un rimasuglio dell’inverno, sul lato destro della strada, dopo il tempo bigio dell’ultima settimana. Si avvicinò, si protese a guardare dentro l’acqua, curiosa della propria immagine riflessa.
E allora si vide. Faccia. Capelli. Figura. Cuore.
Non sono poi così male, pensò. Fu un sorriso spontaneo. Avrebbe amato sé stessa, da adesso in poi. E questo amore che sentiva dentro, maestoso e intatto, sarebbe traboccato fuori, a inondare l’universo.
Non era sola: era lei. Il primo dono che voleva amare nella sua vita nuova.
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