Metropolitana.

Sto seduta.

Ho trovato posto ed è già una bella cosa, perché di solito si sta in piedi, aggrappati in qualche modo. Oggi invece la metropolitana è quasi vuota. Mi viene in mente quando la prendevo tutti i giorni, andavo all’università. O in biblioteca. O al pub. O a ballare.

Quando ho conosciuto quel ragazzo con la barba lunga, mi ha tenuta in braccio sulla corsa del ritorno, come mi stringeva. Perché stavo per cadere. Erano gli anni in cui svenivo per niente. Camminavo e puff. Andavo per terra come un fantasma molle.

Mi ricordo anche la volta del suicidio.

La morta era una signora di mezza età, le persone sulla carrozza ferma dicevano la parola “normale”. E guardavano gli orologi dei cellulari, perché fuori da lì c’era un sacco da fare. Trambusto, il blocco è durato più di un’ora. Una striscia di sangue che ho intravisto sporgendomi dalla banchina. Finire la vita sotto un treno. Normale.

Il rumore è forse la cosa che mi dà più fastidio. Anche l’odore della gente.

I loro starnuti. I piedi nelle scarpe e nelle ciabatte, le mani che toccano tutto. I corpi ammassati e tossicchianti. Qualcuno chiede soldi. Qualcuno suona al flauto Simon e Garfunkel.

Non ce la farei, a salire su questo mezzo tutti i giorni. Oppure sì. Perché quando si deve, si fa tutto.

E perché non è la morte di un uomo, se si prende un pidocchietto nella folla di queste teste di tutti i colori. Sono peggio gli attentati. O i terremoti. O le strade che si sgretolano. O le lingue di quelli bravi che non stanno ferme mai. E fanno andare le bocche, a vomitar parole. A giudicare, a spiegare, a insegnare sempre tutto, per tutto quello che succede.

Sarebbe bello stare zitti. Zitti e in metropolitana.

And here’s to you, Mrs. Robinson
Jesus loves you more than you will know….ooooh ooooh ooooooh