Il pensiero c’è. Che mi stiano cercando. Che chiamino qualcuno. Chi si chiama, in questi casi? La polizia? La televisione? Sono via da 44 ore. La mia vita si è fermata. Io l’ho fermata.
Ho i ciottoli bianchi sotto il sedere, l’onda delicata del mare come olio che lambisce la mia caviglia sinistra, nuda. Manca poco all’alba. La cravatta è smollata, la camicia fuori dai pantaloni.
Nei capelli l’odore del sedile del charter, dove sono scappato come un topo nelle condutture.
Guardo il mare del giorno che nasce. Provo a diventare come lui, a trasformarmi in sasso, spugna, anemone.
Provo a diventare spuma. Eppure io non sono il mare, perché uno schiavo non può essere il mare.
Io sono uno schiavo da 480 mila euro netti all’anno. Sono potente, assegno scadenze, alzo la voce, faccio paura, io così piccolo e nero. Ho passato la vita a promuovere e licenziare, a impormi su tutti.
Sì. Raccontatevi questo: i vostri occhi abbacinati dalla mia menzogna, l’alloro del comando.
E invece sono il servo di tutti voi, che avete bisogno di me per star tranquilli, per sentirvi dire cosa fare, perché non c’è niente di più rassicurante che far decidere, che demandare. Adesso lo so. Va bene, vi ho detto: lo faccio io, perché volevo diventare un dio, il capo supremo, il capitano assoluto. Poi, con il tempo, ho capito che non avrò mai abbastanza soldi, mai abbastanza gloria, per riavere indietro quella vita pura. E immacolata. Quella libertà. La libertà di alzarsi dalla sedia e non pensare, di non ricevere domande, di non sentire il telefono che suona. La libertà di un lavoro funzionale, tutto uguale, che faccia sopravvivere, mangiare.
Invece sto al gabbio del bilancio, piegato sotto la frusta del dovere, della maschera sociale. Guadagno milioni. E sono otto anni che non parto per il mare. Cinque anni che la mia famiglia non è più una famiglia. Solo bocche di persone aggrappate al mio denaro.
Adesso sono qui davanti al mare, con la pistola in mano. Perché in realtà non siete voi i miei padroni. Il mare me lo ha detto: faceva fresco e mi sussurrava dalle onde.
Sono schiavo di me stesso, della mia ambizione, di quella sete che mi arde in ogni istante, mi consuma.
Allora questa è la mia prima, vera decisione: il burattino è diventato uomo. Devo solo premere questo grilletto.
Perché, questo sì, me lo concedo: non sono libero di vivere, ma qui, cullato da quest’aria salmastra, sono libero di morire.
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