“Lasciami andare, Giulia mi aspetta. Non c’è altro da dire, capito?”.Meri è uno scricciolo con il cappotto, magrissima, sotto un portico gelato. La voce come un soffio nel nevischio pungente. Un cappello rosso calato sugli occhi.
“Perché fai così, perché? Non devi andare, se non vuoi”.Davide la abbraccia con gli occhi. Parla poco, parole pesanti, misurate. Parole piene.
Vorrebbe solo tenerla con sé.
“Stai con me per pietà. Ti faccio pena, vero?”. C’è una punta di cattiveria nella voce di Meri. La smania di creare un vuoto, di stare da sola dentro un fondale di cartone. Lasciarsi cadere nell’abisso.
“Non mi fai pena”. Io ti porto via, pensa Davide, sono capace: le mani grandi e fiere da garzone di panetteria.
“Adesso che sai…”.
Adesso che Davide sa, Meri ha tutta la vergogna del mondo. Perché non credeva di arrivare lì. Non credeva di morire.
“Non importa. Se tu non vuoi, io non so niente”. A Davide non serve altro. Serve solo andare avanti così, con lei.
“Non dovevi venire, ieri sera, in ospedale. Non dovevi sapere, Davide. Era una cosa mia. Tutto era roba mia”. Non è vero, Meri. Quel dolore non è tuo. È il dolore di tutti. Davide ha una voce che lo graffia dentro.
“Ma io ci sono, capisci? Lo vedevo, sai, che stavi male”.
Davide vuol fare l’amore, perché ha diciassette anni, perché Meri le piace da morire, perché se ne frega di tutto il resto; Meri, invece, vuole solo dimagrire. Pensa sempre a non mangiare. Così passano i giorni e lei cade. Arrabbiata, delusa, impazzita. Lui non se ne va, ma è una sagoma tratteggiata sullo sfondo, una stella dietro una nuvola carica di pioggia.
Meri è entrata in ospedale perché qualche giorno fa è svenuta sulla bicicletta, ha visto un buio feroce davanti a sé. È finita sul pavé, uno scheletro schiantato al suolo. Giulia, sua sorella, l’ha portata al pronto soccorso, la teneva sulla schiena, fantoccio di bambina.
E lì i dottori hanno capito: il male è nella testa, il nemico è nello specchio.
Davide sapeva. Lo sapeva dalle costole sporgenti, dai capillari sulle guance, dalle attese fuori dai bagni pubblici. Davide ha provato a parlare, così tante volte, che non può contarle più. Ma se parlava, la perdeva. Così stava con lei, testimone silenzioso di una morte infida, una fine liquefatta, da centellinare.
Dove andranno, adesso, Meri e Davide?
Lei che non vuole guarire. Lui che non sa come fare.
Stanno lì, con i piedi infreddoliti sopra i ciottoli piatti. Appoggiati appena, l’uno contro l’altra: un giunco e una montagna. Non hanno una destinazione. Hanno solo un momento.
E Davide apre le labbra, un fiato-nuvola che scalda: “Ti amo, Meri”.
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