La riva del fiume.

Li intravedo tra le fronde, nel bosco. Sono insieme, come sempre, a poche manciate di centimetri l’uno dall’altro. Stanno sulla riva del fiume, un corso d’acqua greve, marrone delle ultime piogge in questa stagione indecisa, dubbiosa.

Mio padre. E mio figlio. Sessantadue e cinque anni.

Manuel afferra i sassi sulla sponda, tra le foglie marroni e i funghi prataioli. Li getta felice, con un gesto liberatorio. Mio padre lo aiuta, lo sostiene.

Mio padre lo protegge. Lo porta a scuola, lo porta al parco. Lo porta al supermercato, dalla parrucchiera. Lo porta a comprare i libri e i giochi.

E io sono qui, nella mia vita dietro il cespuglio. La mamma non-mamma, la mamma che sbaglia.

Mio figlio mi chiama per nome. Virginia. La zia Virginia. Quella che vede due volte al mese, quando mi lasciano uscire dalla comunità.

Il primo che vado a trovare è lui. Poi Valeria, la mia amica che ce l’ha fatta. E l’anfetamina non la prende più. Io poi di male non facevo niente: droga no, mi fa paura. Prendevo solo le pastiglie, qualche psicofarmaco in più.

Mi curano da sempre, da quando avevo sedici anni.

Solo perché mi piace il sesso. Anche quello cattivo. Quello di strada.

Mi viene così, si vede che sono una donnaccia dentro. Capita, no? Gesù la Maddalena non l’ha messa in istituto, ha bevuto dal suo pozzo, anzi. Che poi vuol dire che ci è andato a letto insieme, secondo me.  Detto tra noi. Io non so quale sia il padre di Manuel.

Comunque il padre che conta, per lui, è il mio.

Io intanto ho perso il conto di tutti quelli che sono passati dalla mia carne calda. Molto dipende dal mio seno. Lo guardano tutti e io lo tengo fuori volentieri, perché mi piace piacere.

Adesso Manuel è stanco, mi sa. Non ha più voglia di gettare i sassi.

Fa bene, mio padre, a insegnarglielo: lo vedi, i normali, come fanno. Davanti ai fiumi. Prendono i sassi, che poi sono i loro pensieri brutti, i loro errori, le loro cicatrici. E via. Li lanciano via, li fanno inabissare per sempre. Io, che non sono normale, i sassi non li butto. Non serve a nulla, non ci starebbero nemmeno in tutt’e due le mani, tanti sono i miei casini. I miei guai. E allora sai che faccio? Mentre mio padre mette mio figlio nel seggiolino della bici, io mi allontano, avendo cura di rimanere ben nascosta tra i cespugli.

Non mi spoglio. Non mi tolgo neanche le scarpe. Entro piano.

Dalla riva che fa rotolare i sassetti sotto i miei passi.

Fiume, accogli questo sasso. Te lo lancio io. È il più grosso che tu abbia mai racchiuso nel tuo placido abbraccio.

Questo sasso sono io. E adesso scorri, fiume. Vai.