La riga bianca.

È vicina. Dopo mesi.

Mi guarda dentro con quegli occhi che sono cubi di ghiaccio: è un prato, i fili d’erba di questa mattina, coperti dalla prima gelata. Le verze nell’orto si fanno croccanti. La temperatura si è abbassata, han preso il freddo giusto: la cassoeula viene saporita. Il nonno fa la polenta, sento il rumore del cucchiaio di legno, che batte contro le pareti del paiolo grosso di rame. Mi ha insegnato ad andare in bicicletta.

Lei mi prende la mano, mi mette le dita tra le dita.

E sempre i suoi occhi che mi scavano, poi mi sciolgono. Un’onda. La prima volta che mi sono tuffato non era nel mare, era nel fiume, un tratto basso. Era una scommessa con Luigi. Il polpaccio a sangue contro un sasso appuntito. Arriva presto, il buio, dentro il bosco.

Il suo palmo sulla mia guancia è una carezza densa.

Ha compassione, adesso. È tornata per restare. Ha lasciato in mezzo alla strada la sua borsa firmata, le scarpe con il tacco, il cappotto lavato a secco in tintoria. Ha lasciato le cene di gala. È tornata da me, dal povero cristo che le scrive poesie. E guida. E fa gli schizzi di cuori con le frecce sui tovaglioli del bar.

Ti sposo, amore.

Hai già il vestito, sei una nuvola bianca che sale le scale della chiesa dove mamma mi portava da bambino. Odore forte di incenso. Amen. Vuoi l’anello, sì? Ne ho trovato uno qui, per terra. Ci ho messo il piede sopra, l’ho visto io e nessun altro. Adesso lo raccolgo, veloce. Non è molto che ti posso offrire. Ma è tutto, per me.

Il suono del clacson mi fa riaprire gli occhi.

Sono in mezzo alla strada, seduto nel mio camion. Oltre la riga bianca. Giro il volante tutto a destra, evito una Punto nera. Trattengo il fiato e sono di nuovo dritto, nel mio pezzo triste di carreggiata. Nel mio pezzo triste di vita.