Possono essere qualunque cosa. Ma la loro forma vera, quando nascono e ancora non sanno del vento, del cielo, dell’acqua, qual è?
Io sono così. Io sono una nuvola.
Cambio forma in continuazione. Mi adatto al vento che soffia nella mia giornata. E sono prima cumulonembo, poi cirro. Poi ancora strato.
Dipende da te. Dal tempo. Da quanta gioia e quanto dolore riesco a tenere nel mio stomaco. Dipende dai ricordi. Da come vengono fuori e divorano il tempo presente, della mia quotidianità.
Non mi ricordo, io, che forma avevo. La mia forma originale, quella con cui sono venuto fuori dalla vagina di mia madre. Ero come lei? All’istituto, dove sono stato fino ai miei diciotto anni, non l’avevano mai vista.
Certe volte penso di essere comparso proprio là, nell’incubatrice calda dell’ospedale, come un pulcino striminzito e pigolante.
Un essere capitato. Un incidente che in fondo non sconvolge, che lascia indifferenti.
Ho iniziato a cambiare forma molto presto: e adesso sono un ibrido mutevole come un accumulo di particelle d’acqua, trasportato dal vento. Ci ho guadagnato in leggerezza. Posso essere uomo. Ma anche donna. Ho un bel seno, sono glabro. Ho due labbra gonfie e sensuali. Ma il mio pene è ancora lì, saldo tra le cosce.
L’operazione definitiva non l’ho ancora fatta. Forse non la farò.
Non mi piace avere una forma. Sono una nuvola, io.
Perché le nuvole le guardano tutti, basta alzare gli occhi. E ognuno ci vede quello che crede. Quello che vuole.
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