Perché così la vedo, l’Aurora. Con quelle scarpe che le ha preso mia moglie, senza dirmi niente, le scarpe luccicanti delle grandi. E lei non ha niente di grande, lei ha dodici anni. Ancora con i giochi e i peluche, tutti i pomeriggi, dovrebbe stare. Invece guardala, con quei ragazzi che chissà come la penseranno: io lo so, sono stato adolescente anch’io. Le osservano i seni sotto la maglietta, se li vogliono toccare. E le gambe nei pantaloncini, se le vogliono lisciare.
Adesso vado via, non mi piacciono le feste di paese.
Sono le 21.07, non abbiamo ancora mangiato. Mia moglie mi fa sempre fare tardi, eppure sa che poi non digerisco, poi non dormo bene. Qui, sotto il tendone con i tavoloni di legno, c’è tutto e non c’è niente. Niente di giusto per me. La pizza al kamut non c’è. Ché alla sera, se proprio devi mangiare la pizza, ma sarebbe meglio di no, almeno mangiala senza glutine.
Sto qui in coda davanti alla casa, per fare il bigliettino della cena. Sperando che nessuno abbia il raffreddore. O l’influenza. O, peggio, qualche malattia infettiva. A me le persone fanno schifo, si vede da come cammino, da come sto curvo su me stesso, per non subire attacchi dal mondo fuori. Poi l’estate porta pelle sudata, appiccicosa: pelle punta dalle zanzare.
L’estate è infradito e ballerine. L’estate è puzza oscena.
Non saluto nessuno. E guardo sempre l’orologio. Mia moglie garrisce come un passerotto tra i peschi a primavera, ritrova le amiche delle elementari: prolunga le vocali, mi porta queste vecchie carampane da vedere. Io mi schermisco, scusa. Devo stare in coda. Poi c’è il finimondo, sai cosa succede?
Arrivano loro. I gitani lerci delle giostre.
Una festa per i bambini! Un incubo, quel bruco gonfio, mostro maledetto. I piccoletti giubilanti si tolgono le scarpe, i sandali. Promiscuità che mi disturba nella pancia. Salgono, si lanciano, si abbracciano, si toccano. Io atterrito dalla faccia di quel bruco indemoniato, culla di devastazione, regno di virus senza soluzione. I due capi delle giostre sono gente dell’Est, facce unte. Parlano strano. La musica è assordante, canzoni sceme per poppanti.
Li capisco, quelli che si fanno esplodere.
Sarei pronto a morire anche io, adesso. Pur di ammazzare tutta questa gente che fa un rumore frastornante. Andate, andate via. Mi entrate nella testa, viscidi vermi. Siete un formicaio rivoltante. Non verrò con un mitra, non mi sporcherò del vostro sangue scuro.
Vi dirò, con un sorriso sano, che ho trovato una cura. Per rendervi felici sempre. Per lasciarvi tutti così, bambini allegri. Sarà un’iniezione che salva. L’eutanasia d’ufficio vi voglio dare, senza farvi male. E mi potrete solo ringraziare.
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2 Commenti
madroot
13 Settembre 2016 at 12:00
Francesca Crippa
13 Settembre 2016 at 18:23
Epperó che personaggio! Psst…non dirlo a nessuno. Un po’ mi ritrovo!
…..ma davvero? 🙂