La faccia di Socrate.

Son tanti anni che lo guardo in faccia.

Un naso largo, l’arcata sporgente delle sopracciglia, gli occhi rotondi e un po’ fuori dalle orbite. Gli esperti dicono che è il volto di Socrate.

Io non so niente di cultura. Quella greca, poi.

Io dovevo fare la parrucchiera, ché sono sempre stata brava a far le messe in piega in cucina a tutte le amiche di mia mamma. Invece sono seduta otto ore al giorno, con una divisa blu e una ricetrasmittente in mano. A controllare che la gente si comporti bene. E non faccia le foto con il flash, davanti a tutta questa Arte con la A maiuscola.

Io sono la custode della Sala 41, Galleria degli Uffizi. Quando passa di qui Cesare, che racconta ai turisti inglesi tutta la manfrina, e il Leonardo e il Botticelli e il Caravaggio e la scultura latina e la copia del Laocoonte, io mi metto a posto un po’. Mi alzo. Come mi piace, Cesare. Con i suoi capelli selvaggi e l’orecchino grosso nel lobo sinistro. E la voce baritonale che senti vibrare nella pancia. Ci credo che di notte canta nei locali.

Ci credo che le donne se le porta a letto quando dice il loro nome.

No, a me non mi guarda. Sono insulsa e grigia. Certe volte vorrei strappare un po’ di oro dai quadri grossi, Duccio mi pare che si chiami: me lo metterei addosso, quell’oro lì, per darmi luce. È che poi dovrei avere l’aureola, come quelle Madonne con i bambini grassi e già vecchi. Cosa che non mi si addice proprio. Io l’anno scorso ho rinchiuso la mia mamma all’ospizio. Non ce la facevo più. E adesso penso che invece di stare qui otto ore a guardare in faccia Socrate, potevo stare a casa a guardare in faccia lei, che tanto è una statua di marmo in un letto con le sbarre. Però poi come mangiavo? Però poi come vivevo? E allora dai.

Fisso Socrate e imparo da lui, che sa di non sapere. Io non voglio sapere niente.

Però poi mi fai arrabbiare, Socrate. Quegli occhi rotondi che mi guardano e mi vogliono tirar fuori quello che invece deve stare dentro, in fondo sotto lo sterno, nelle budella. Ma chiudili, quegli occhi lì. Mostro. Cosa vuoi da me? Lasciami, non mi guardare. Adesso ti faccio vedere io. Tanto sono le otto e siamo in chiusura e non c’è più nessuno. Sono fulminea. Prendo in mano la gomma che sto masticando. E te la attacco dietro la testa.

Satiro infame. Non mi devi guardare.