Pesano come un bambino appena nato, che aspetta il latte della mamma, ma la mamma non sta bene e allora ci vuole la polverina bianca che diventa latte finto, eppure buono.
Pesano come il corpo di una donnaccia che sta sotto i portici ventosi, ha sete e fame, ma le danno soldi, solo soldi, pochi spiccioli sporchi che al momento non si lasciano mangiare.
Due casse d’acqua pesano come un amore che dura da una vita: pianti, silenzi, qualche sorriso.
Amore di mani, amore di arrosto bello unto una volta al mese.
Pesano come un amico, che sta al tavolino del bar, da solo. Ha perso tutto in una notte, al gioco cattivo che gli è entrato nelle vene, gliele ha corrose piano piano.
Due casse d’acqua sono dodici bottiglie, plastica sottile, niente bollicine: acqua ferma e piatta per pulire le ultime macchie di sangue, rimaste a terra come un timbro dopo la rissa fuori dal locale. Gente giovane che si uccide con i pugni, le unghie dentro, tra le guance, sigarette mezze spente e bottiglie rotte sul pavé. Acqua che cade dal cielo, rotola nei campi, si raduna nei canali di scolo, acqua che salva, acqua che inonda, acqua più malvagia del fuoco, incontenibile, austera.
Acqua nella gola di un vecchio arcigno che muore, ultimo sorso di vita.
Speranza vana.
Due casse d’acqua sotto un portico ad Aosta, con due braccia forti che le portano passo dopo passo: io sto lì, immobile, a guardare l’uomo che si allontana con il suo carico, e poi scompare.
Una storia che scorre, come l’acqua che va. E non ripassa più.
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