C’è un bambino che cammina tra i fiori, riesci a vederlo?
Ha quattro anni e la faccia di uno che non si ferma davanti alla superficie delle cose, ma è abituato a scavare, come quando gioca con la terra in giardino. Il bimbo si muove in un vivaio, una di quelle serre caldissime e variopinte, con il soffitto a vetri, per far entrare la luce del sole.
Sfiora le primule discrete, le orchidee orgogliose, la mimosa leggera. Un sorriso si allarga sul suo viso. Sta bene, in mezzo a tutti quei profumi, ai petali, ai rami e alle foglie come mani. Ed esclama: “Mamma, guarda che belle, queste viole! Le prendiamo?”, mentre afferra il vasetto con le piccole dita tranquille.
Accanto, una signora con gli occhiali e una sciarpa nera, rossetto rosa scuro, si rivolge al bambino:
“Oh, che bravo! Ti piacciono i fiori? Anche se sono da femmina?!”
Rimane fermo, il piccolo, tramortito da un colpo silenzioso. Il sorriso si spegne e le braccia vogliono riporre la ciotolina sullo scaffale.
C’è una domanda nel suo viso, che solo la mamma può sentire: “Ma allora io non posso amare i fiori; è così, mamma? Perché sono un maschio, io”. La mamma poggia le mani sopra quelle del suo bambino.
Venti dita che sollevano insieme un piccolo giardino di viole.
Non servono parole, basta un pensiero. Il pensiero dice che i fiori non sono da femmine o da maschi.
I fiori sono di tutti. Per tutti. Come molte altre cose.
Fin da piccoli ci insegnano a distinguere le persone tra maschi e femmine, ed è corretto, perché ci sono milioni di differenze. Eppure, a ben guardare, ci sono anche milioni di somiglianze. E incastri perfetti.
La vita non è questione di schieramenti o di competizioni, ma di intese e passi vicini.
Esistono maschi delicati come principesse nei castelli e femmine temerarie come cavalieri nei campi di battaglia. E solo se un maschio prova a “sentire” da femmina e una femmina prova a “sentire” da maschio, senza pregiudizi e reticenze, i due universi possono comprendersi. Rispettarsi. Amarsi.
Un maschietto che si commuove davanti a un bacio e dà il biberon a un peluche. Una femminuccia che si lancia dal divano e si scaglia nella lotta. E ancora un maschietto che prepara il risotto con la mamma, la pettina, l’aiuta a mettersi lo smalto. Una femminuccia che gioca a pallone con il papà, coperta di fango dalla testa ai piedi. Se il gioco è una prova della vita…allora via libera ai giochi mescolati, condivisi, scambiati!
Tutto questo e molto di più. Ecco cosa c’è in quel vasetto di violette, in un vivaio d’un tratto grande come il mondo.
È un fatto di equilibrio, umanità, intelligenza.
Un argomento che supera la distinzione tra i ruoli. Perché ha a che fare l’amore: semplice, potente, meraviglioso amore. Quell’amore che si disinteressa di colori e cromosomi e sa che i cuori sono uguali nella parte più profonda, quella che conta davvero.
Adesso il bimbo è tornato sereno. La signora e la mamma si cercano con lo sguardo. Tra loro passano secondi preziosi. La mamma è certa che la donna ha compreso: in fondo entrambe vogliono per quel bambino, per tutti i bambini, una vita colma di fiori.
Madre e figlio rimangono ancora un po’, dentro il caldo della serra.
Bisogna credere alla primavera che arriva. Alla promessa di una vita fiorita.
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1 Commento
Agnese
5 Giugno 2017 at 20:11
Che bello condividere il tuo pensiero; in quel bimbo ho scorto Leo, con la sensibilità e l’intelligenza che lo contraddistinguono!