Cambiare.

Il treno, quando arriva alla stazione, si ferma sempre qui davanti.

C’è un mucchietto di sacchi della spazzatura, di quelli trasparenti, dove puoi scoprire tutto quello che le persone fanno, come vivono. Quello che buttano via dalle loro esistenze.

Da quando faccio il controllore su questa linea di periferia, a sud di Milano, mi viene da sollevare lo sguardo e fissare questa pattumiera fuori dal finestrino, anche se sto parlando con un passeggero. Anche se sto verificando la validità dei biglietti.

Allora la mia testa comincia il viaggio.

È un viaggio che mi porta molto più lontano di queste rotaie sempre uguali.

In questo viaggio mi vedo felice. Non che adesso non lo sia. Ma mi vedo felice in un modo diverso, di una felicità che non è quella che mi impongo tutti i giorni, quella delle piccole cose, del consolarsi con quello che si ha. È la felicità che ti cambia la vita, quella del genio della lampada, del Superenalotto.

È la felicità del colpo di fortuna, la botta che ti cambia la vita, fa accelerare in un solo istante la tua macchinetta che di solito arranca tra le colline. E d’un tratto diventa un bolide fiammante, che lascia indietro tutti gli altri.

Sono i soldi, che vorrei. Perché sono certo che con i soldi io sarei felice, nel senso vero.

Prima di tutto non sarei più solo. Non sarei preoccupato che una donna mi rifiuti, perché ho la faccia da povero diavolo. Prenderei l’aereo, invece del treno. E poi andrei dalla mia mamma, mi metterei di fianco alla sua poltrona, quella che butta fuori un caldo atroce, tutta di velluto. Le direi: “Mamma hai visto? Anche senza papà, io ce l’ho fatta. Sono stato bravo”. Per fare tutto questo, la soluzione mi è venuta l’altra notte.

Sono stanco di essere quello giusto.

Stavo prendendo un caffè alla stazione, avevo il turno serale. Ho visto le caramelle della gola, quelle che mi piacciono tanto. Però costano due euro. E di solito mi dico che due euro sono troppe, per una cosa che si scioglie in bocca. Con due euro compro il pane morbido per la mia mamma, poveretta, ché la dentiera le fa sempre male. Allora le ho prese, dita indecise solo all’inizio. Le ho afferrate e le ho messe in tasca, senza pagare.

La signora della cassa non mi ha visto, mi ha visto solo la Rosaria, la puttana che beve sempre la camomilla in fondo al bar. Ma è stata brava, non ha detto niente. Così ho aperto il pacchettino delle caramelle e gliene ho date tre, come le ha acchiappate volentieri.

In quel momento ho pensato che da oggi posso fare il ladro, perché i poveri cristi come me non mi tradiscono, anzi.

Mi sorridono e mi coprono le spalle.