Passi nella notte.

Non so. Cosa rimane da dire?

In questa notte che mi accarezza lieve, come la mano incerta di un bambino silenzioso. Un po’ impaurito dalle sagome ostili di una cameretta buia.

Non sono fuori, i mostri del crepuscolo.

Sono tutti dentro, compressi come sarde nella latta. Sono i ricordi, i pensieri, le illusioni: prendono forma, grevi e tumultuosi, nella notte di noi camminatori insonni. Passeggiano attaccati ai nostri piedi, ci sfiorano il dorso della mano.

Sono anni, ormai, che dormo poche ore tutte le notti. Una, due al massimo. Un privilegio, certe volte. Una condanna, quasi sempre.

Porto sulle spalle tutti i dolori del mondo.

Nella testa un martello che preme e sbatte e opprime. Nel cuore un terrore sottile, come la certezza di non riuscire ad arrivare al sole che nasce. Cuore incandescente che cancelli incubi e misteri. Gambe, braccia, barba sfatta. Sigarette. Sono una persona normale, io.

La notte di Milano è un taxi caldo che puzza di frittata e olio rancido. Un angelo caduto, con le ali di catrame.

Apro la portiera e salgo. “Dove la porto?” “Dove vuoi, Caronte”.

All’Inferno, ti piace? Non spostiamoci di molto, nel cervello l’Inferno è questo qui: i dolori piccoli di tutti, che di notte si sommano come voci sovrapposte, dentro la mia pancia vuota. Giro, giro. Trottola impazzita, palloncino sperduto sopra la coltre densa delle nubi. Foglia secca nel turbine di un vento che deride.

Ho preso a far fotografie, in questo incedere malfermo, gioco di ricerca sorda e cieca: mi scatto ritratti dentro le vetrine, nelle pozzanghere, negli specchi delle strade. Raccolgo le mie occhiaie, scendo in fondo, nella notte vera: quella che ti mangia dentro, nera più di quella fuori. Perché? Non so. E che mi importa di sapere?

Troveranno una cosa buona, quando non ci sarò più. Forse.

Le luci alle finestre, le facce nei balconi: una trama fitta di anonimi, bizzarri compagni di viaggio, ombre lunghe che mi pare di conoscere da sempre. Condannati? Anime salve? Indifferenti ai mali biechi dell’oscurità. Mi arriva il suono secco di un clacson lontano: è il segnale che siamo ancora vivi. Il tepore è il pelo di una lepre accoccolata nella tana. Sfida un cacciatore.

Il sole arriva, manca poco. Non mi scioglierò.

Nemmeno oggi che è il mio compleanno. Nemmeno oggi che ho una notte in più.