Vengo tutte le mattine, con il mio straccetto un po’ ingiallito. Ti pulisco i piedi e il pavimento sotto, vicino alle candele. C’è sempre un po’ di cera che rimane giù. Vengo qui da quando mia moglie non è morta. Anche se tutti dicevano che sì, quel mese lì era l’ultimo. Invece io pregavo. E non avevo pregato mai. Pregavo di farla continuare a camminare. Che il male delle ossa non la sgretolasse, la mettesse solo un po’ alla prova, per farla uscire forte, migliorata. Giorni di esami, di mani strette, di unghie nella carne. Di odore forte di alcool prima delle punture. Di lividi sulle braccia e sulle dita.
Madonna mia, guardami.
Sono un po’ più vecchio. Però è con i miei figli che sto invecchiando. Con il mio nipotino tutto guance e ricci, che mi chiama nonu, perché adesso sta imparando a mettere le lettere in fila, a dare un nome a tutte le cose del mondo. Mi sale sulle cosce che mi fanno male, è pesante. Ma è un peso che mi butta avanti, mi fa andare in là con gli anni, ritornando ragazzino vigoroso, invincibile.
Madonna mia, perdonami.
Perché ci sono giorni che il dubbio mi prende e mi pare che la terra sia cattiva. Invece il male e il bene stanno insieme, sono facce di una medaglia che è sempre la stessa, una medaglia al valore che tutti noi ci meritiamo. Chi non fatica, Madonna mia? Si suda più che in salita, su una bicicletta con il cambio rotto, in questa vita qui. Però alla fine ce la facciamo. Io prego per questo: per la parola fine. Che sia bella, che non rovini tutto. Che sia naturale. Dolce, se vogliamo.
Madonna mia, ascoltami. Ancora un po’.
Parlo con tutti, io. La gente mi piace, nelle strade. Mi incuriosisce la voce degli sconosciuti: mi va di toccarli, di aiutarli. Mia mamma la penso quando mi metto le scarpe. Lei me le metteva sempre, ed ero grande già, ma non mi rassegnavo ad allacciarle da solo: voleva dire che dovevo camminare, andare davvero. Partire e forse non tornare. Invece sono sempre rimasto qui. Dentro queste gradinate di pietra che cuoce al sole del mezzogiorno, tra i gatti magri che implorano una lisca di pesce. Fichi d’India grossi come montagne brulle, mansuete.
Madonna mia, adesso devo andare.
Filomena mi aspetta per mangiare, non posso arrivare tardi. Da cinquantotto anni facciamo tutto insieme. Non mi pesa, averla addosso come una coperta calda, anche dentro l’afa umida di questi giorni. Delicata, la mia Filomena. Che ho salvato con te. E con le mie preghiere. Te la porto, tra un po’. Quando ricomincerà a venire fuori, perché adesso è ancora stanca, deve stare dentro casa, dentro il fresco dei muri spessi, sciolta anche lei, nel bicchiere delle vitamine.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok
Lascia un commento