Non puoi guardarli a lungo, i suoi occhi. Sono lame. Sono fiamme.
Penetrano a fondo e ti strappano certezze, ti spogliano, ti lasciano immobile, con un punto di domanda impresso sulla fronte.
Fanno paura, le sue mani grandi come pale.
Perché i suoi occhi hanno già ucciso.
Ennio Longhi viene dalla Valtellina: un uomo onesto. Sottile come una biscia di montagna. È arrivato questa mattina a fare un sopralluogo: lana di roccia da mettere nel muro. Per ispessire i miei confini con il mondo fuori. Per tenere il freddo sempre più lontano.
“Lo vuole, un caffè? Così mi dice quanto le devo come acconto” dico io.
“Acconto? Ma che acconto? Un caffè. Sì. Un caffè, sì. Bello forte. Amaro e nero”.
Attendeva solo il via: sedia, tazzina, tovagliolo.
Raccontami, Ennio. Dimmi tutto.
“Magari fossero tutti così, che mi voglion dare i soldi prima. Li ammazzavo, quasi quasi, al Tribunale di Lecco. Lo sa quanti soldi c’ho giù da prendere, io? C’ho fuori seicentocinquantamila euro. Due ne ho lasciati a casa. In un anno. Mi viene da mollare tutto. Si può? E a Roma, bisogna andare. Dobbiamo andare giù con una bomba, là nel Parlamento. Ché ci prendon tutti per il culo, quei figli di puttana”.
Gira il cucchiaino nella tazza. Tin tin. Gli occhi umidi. Gambe irrequiete, senza posa.
“Cinquant’anni e mille umiliazioni. Il muratore lo faccio dall’ottantanove, ma ancora poco e torno a fare l’operaio, tanto lo so fare, sotto padrone voglio andare. Perché in proprio no, non ci voglio più stare. Lo sa come sono stanco, di lottare. Io li devo pagare, i miei ragazzi. È a me che non mi paga nessuno. Ma io adesso basta, io voglio dormire, di notte”.
Ennio, respira.
“Mi fanno fare i lavori, vieni Ennio, sei il più bravo. E correre. E andare. E i soldi non mi arrivano. I soldi non ce li hanno mai. Però di corsa, mi han fatto lavorare. Però di corsa, mi han fottuto la mia grana”.
Ennio, calma.
“Sa che sono andato all’ACLI? Mi devon ventinovemila euro, i religiosi. Mi chiamavan trenta volte al giorno, per i loro pavimenti col riscaldamento sotto. E io e i miei, trotta trotta cavalli coglioni. Han la tecnica, i pretoni: ogni sei mesi cambian la persona, così non sa mai niente e si riparte sempre da zero e per i soldi mi dispiace, bisogna rifare la procedura”.
Basta, Ennio.
“Mi han portato fuori a forza, l’altra sera. Mi sono alzato dalla sedia, gli ho preso la cravatta, a quello stronzo invalido mentale, burattino loro, e gli ho detto: ovunque vai, guarda la mia faccia nel tuo specchietto retrovisore. Io ci sarò sempre, come la tua ombra, e prima o poi tu muori”.
Si alza dalla sedia.
“Si ricordi di me, signora. Il Longhi lo fa, quello che dice. E io a quello lì gliel’ho detto: te ti meriti di andare in spalla a quattro“.
Cosa vuol dire, Ennio?
“In spalla a quattro. Ha capito, lei, signora? In una bara, sulle spalle di quattro beccamorti. Ha capito? Dritto dritto al cimitero, quello deve andare”.
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