Dentro il bosco.

Vado a camminare nei boschi d’autunno.

Metto le scarpe buone, un gilet di medio peso. E la prima cosa che faccio è prendere un bastone, mi aiuta nel mio incedere, a volte svelto, a volte insicuro. Percorro sentieri in salita, perché la salita mi fa più compagnia, là dove funghi e foglie e scarafaggi mi osservano come un gigante buono, solo un poco solitario.

Non penso più che lei debba morire.

Non è colpa sua se mi ha lasciato. Lei può vivere, anzi forse deve vivere. Felice. Io sono un tipo strano, sono un tasso paffutello, che alla fine sta per conto suo, nella sua tana. E i tassi i bambini li fanno strani, li fanno tassi, appunto. Lei un bambino, da me che sono strano, io dico che non lo voleva. E così è andata dall’uomo biondo. Per fare un bambino che di sicuro sarà biondo e avrà i muscoli da grande.

Ma guarda, son già spuntati i bucaneve.

Io faccio come loro: invece della neve, vorrei bucare la palta spessa che ricopre la mia vita. Che è una palta traditrice, una pozza di sabbie mobili.

Comunque se prendo le pastiglie del dottore, i pensieri sono meno negativi. E nei boschi poi, magari, mi troverò una fata, per fare una magia o anche solo per fare un po’ l’amore.