Il disegno del mare.

“Adesso facciamo un disegno”. Glielo dice con tono amichevole, delicato. Ma ha la faccia scura, rassegnata.

Mio fratello ha quattro anni.

Non capisce quasi niente, ma io da qualche tempo gli voglio bene. E quando viene Ramona, la nuova babysitter, me ne sto sempre nei paraggi. Non so perché. Forse voglio controllare. Mio fratello è un imbranato, meglio non perderlo di vista. Meglio stare attenti.

Io sono in quinta elementare. E quando i miei hanno fatto nascere Alessandro, non ero felice. Prima di tutto perché dovevo dividere la mia camera, che per me era la camera di una principessa in un regno di troll. E poi perché arrivava un nano urlante, un rospetto con le croste in testa.

No. Non ero felice.

Però ero brava. E più ero brava, più i miei erano orgogliosi. Sereni. Aiutavo mio padre a scaldare il latte. Mia mamma a buttare i pannolini.

Adesso mio fratello è cresciuto. E in fondo se mi fermo da Sofia a dormire, per il pigiama party di Frozen, mi manca un po’. Perché fa ridere, lui.

L’altro giorno all’intervallo Daniele mi ha detto: “Stai zitta, ché tuo fratello non è neanche normale”. Che stupido: mio fratello è normale, solo che non riesce a parlare molto bene.

È una scimmietta, certe volte.

Sembra più piccolo della sua età. Ma è buono. Certo, non capisce sempre quello che gli dici. Ma è buono.

Il ritardo nella crescita si è visto al nido, soprattutto nel linguaggio. E da allora c’è la fila di dottori, logopedisti, assistenti. Tutti bravissimi, tutti speciali. Mamma e papà non sono più molto sereni. E la sera li sento litigare. A bassa voce.

Ramona oggi pomeriggio è stanca. Tirata. Guarda sempre il cellulare. “Aspetta, amore. Dai. Non mi va di litigare” sussurra. Io sono in alto, nascosta sulle scale. Alessandro deve essere nel pomeriggio storto, perché non la ascolta. So cosa sta facendo. Fa i suoi mugolii a volume sempre più alto. Mangia i pastelli. Rovescia il bicchiere di acqua. E poi il succo di frutta. Il cellulare di Ramona squilla in continuazione. Lei guarda il display con foga, cercando di evitare che mio fratello distrugga la cucina o cada rovinosamente dal seggiolone.

Alessandro ora grida forte. Sbraita. Sento rumore di pugni sul tavolo.

Scendo di corsa. “Anche tu, adesso?” mi dice cattiva. Mi fissa, paonazza. Prende il disegno che hanno fatto insieme. Lei e Alessandro. Lui ha tre dita in bocca, si procura un conato. E la ignora. Lancia un cucchiaio con gli occhi chiusi. Ramona sta per piangere, adesso. “Alessandro, guarda. L’ultima cosa che facciamo insieme.  Che io faccio per te. Me ne vado. Non ce la faccio, io. Dillo, alla tua mamma. Non vado bene per te. Per i tuoi bravi genitori!”. Strap. Un gesto deciso. Tra le lacrime.

E così Ramona strappa il disegno degli esseri del mare.

Alessandro si ferma di botto. Non scalpita. Non piange. Arranca, colpito da questa violenza di cuore. Più dolorosa di uno schiaffo. Si lascia cadere dal tavolo. Catatonico.

Rimaniamo soli. Io e lui. Io tremo.

Lui no. Lui è un pupazzo molle. Con gli occhi duri.

Adesso ha quindici anni. E ancora non pronuncia parole. Lo vado a trovare, a casa dei miei. Frequento Disegno Industriale, io.  Ma i disegni più belli sono i suoi, i più belli che io abbia mai visto. Acquerelli di onde. Tempere di fondali.

Ma no, fratellino, non parlare.