La maniera del risotto.

“E lei cosa ti ha detto?”
“Niente”. Deve essere rimasta ferma come un carpa schiacciata sul fondale. Con la sua faccia arcigna di lago nero. Se lo aspettava.

“E ti ha messo nell’ingresso le valigie”.

“Sì. Sempre zitta, sempre automa. E poi mi fa: sei morto. Me l’ha detto come una moglie normale che dice: stasera ti va bene l’affettato? Ma lei non è più normale. Da un pezzo”.
Mio fratello ha confessato: ha detto alla moglie che ha una storia con Valeria. Si sono incontrati in Regione. Due anni fa. E si amavano in sordina, nelle pause tra una delibera e una votazione.
Clelia, la moglie, sospettava di sicuro. Eppure non me ne parlava. Da tempo ormai ci vediamo solo alle feste comandate, perché dobbiamo. E non per noi. Non è mai scattato quel rapporto vero, quella complicità che forse un tempo abbiamo anche provato a creare. Ma nulla. Così adesso è tardi: abbiamo vite distanti, due figlie di vent’anni che neanche si salutano se si incrociano sul treno. O a lezione in università. La stessa.

Clelia è odiosa.

E Andrea ha trovato il coraggio solo ora. Questa, penso io, è una storia del meglio tardi che mai.
E glielo dico davanti al piatto di risotto rosso che ho appena preparato. Salsa di pomodoro e tanto origano. Alla maniera della Bice. Nostra madre.
“Ho paura, Sara. Cosa penserebbe mamma?”.
“Andrea, ma che domande fai?”.
Ecco. Il fantasma. Non è fuori, non lo è stato mai. Il fantasma è nelle tue viscere, avvinghiato ai ricordi che succhiano il presente. Lo annullano.

Andrea, è tempo. Adesso prendi la tua vita.

Buttala giù veloce e ingordo, come le cucchiaiate pesanti di questo risotto. Un po’ salato.

La Bice non c’è più.

Sono tre mesi che è spirata dopo venti giorni di agonia. Facciamo che lei è morta e tu sei nato. Questa volta per davvero. Sei nato Andrea. E basta.
L’amore è tuo. Il futuro anche.
Clelia e Bice sono altrove, adesso. È distrutto il fronte compatto: le carezze dense da aguzzine e gli arrosti ben conditi sono dentro quella tomba, ora. In Via 4 Novembre. Quella vita vuota e disegnata, mentre io lottavo controvento, di nascosto, per ridarti aria. E dignità.

Che parole inutili, Andrea.

Stai già pensando di tornare. Te lo vedo nella fronte, nella trama delle rughe.

Quante lacrime nel mio risotto.

Domani andrai al cimitero. Vai tutti i giorni ormai. Chiederai perdono alla mamma. Per aver provato a far di testa tua. Per aver pensato di essere felice.
Clelia ti aspetterà con le patate in forno. Ti aprirà la porta con un ghigno luminoso e le mani sporche di detersivo per i piatti.

Fuori sarà un sole cattivo, una canicola che abbaglia.

“Lo sapevo che tornavi. Me l’ha detto ieri. Vede tutto, sai? Più di prima. Brava, Bice”.