È così tanto che non ti vedevo, nel salone. Dove sei stata? Mi hai fatto prendere un colpo. Mi viene un infarto. Adesso vai a letto, Virginia. Non toccare il mio cuscino, fai la brava, su. Non si può andare in giro nelle stanze, di notte. Lo sai: ci curano, qui. L’han deciso i nostri figli. Facciamo la riabilitazione perché siamo vecchie, abbiamo rotto la testa del femore. E poi l’osteoporosi. Ci vuole lo yogurt, Virginia. Ma Giuseppe non ti ha tolto la dentiera? E la Federica te le ha date, le gocce per dormire? Cosa fai, così vestita, oh Signore, è buio. Virginia mi fai proprio spaventare. Che mani. Come sono secche, dai non mi toccare. E poi perché ti tieni stretta la corona? Stavi dicendo il rosario da sola, ancora. Menomale che preghi tu, tu preghi per tutti, menomale. Prega anche per me, Virginia.
Mi sembri un tronco duro, che anima in pena.
Dai che domani viene tua figlia, arriva arriva. Su Virginia, fai la brava. Chi ti chiamo?
“Anna. Anna”. Chi mi chiama? Apro gli occhi. È ancora scuro. Federica, dimmi. Mi devi fare un prelievo? Una puntura? Che ore sono?
“Anna ti devi spostare da qui. Alzati piano, ti porto io. Vieni. Vieni qui”.
Ma che succede? C’è il Dottor Luzi? Vado. Va bene, vado nella sala mensa. Che trambusto, gente in piedi. Parlottare sommesso.
Mi avvicino all’infermiera: “Federica, ascolta. La Virginia era in giro per le stanze, questa notte. È venuta lì a toccare il mio cuscino. Si è persa, vero? La Virginia è scappata. Questo posto non le piace, non le è mai andato giù”.
“Anna. Virginia è morta”.
Ma come? Ma quando?
L’han trovata stamattina: stanza 146, non lontana dalla mia. Da tre giorni era fissa dentro il letto. Ictus.
È morta ieri sera, a quanto pare. Ma questa notte mi è venuta a trovare e mi ha detto:
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