Diluvia. E siamo in coda.

“Come stai?”

“Bene. Come devo stare?”

“Non mi dire così. Sto solo cercando di parlarti. Di farti parlare”.

Io guardo davanti, fuori dal finestrino. Al volante c’è mio padre. Le auto in coda, in tangenziale, hanno i contorni sfumati. Liquefatti.

Piove a dirotto da questa notte. La battuta di Teo sarebbe: “Dirotto? Ormai piove a dirnove, direi!”. Che idiota.

Lui. E io. Due idioti.

Compagni dall’asilo, le tappe che fanno commuovere i genitori le abbiamo passate sempre insieme. Seduti vicini. Io nero nero, con le sopracciglia spesse. Lui biondo diafano, con le labbra sottili. Insieme abbiamo vissuto anche i traguardi da tenere segreti, come il primo spino in vacanza con il prete. “Tranquilla má, tutto sotto controllo”. Amen. E così sia.

Io sono il bello. Lui il secchione.

Io casinista, lui riflessivo. E silenzioso. Eppure insieme funzioniamo alla grande. Io mi faccio una valanga di serate. Con gente di cui non mi ricordo il nome. Lui se ne sta in camera a fare non so cosa. Poi ci sentiamo. O ci vediamo. E allora io gli racconto del mio mondo. E lui mi racconta della sua anima. 

Ascoltiamo musica di mille anni fa, non quella che mi becco in radio o nei locali. Ascoltiamo il rock che piace a lui: i Led Zeppelin, ad esempio. O i Rush. E lui mi insegna il barré sulla sua Strato, un regalo di suo nonno. Pianista di piano bar.

“Ma te la senti di andare a scuola?”

“Sì, papà. Te l’ho già detto. Va tutto bene”.

Basta, papà.

Cosa vuoi che ti dica? Guarda questa coda, guarda quest’acqua che viene giù.

Cosa vuoi che ti racconti? Che mi sento uno stronzo perché io ci sono ancora, su questo cazzo di sedile, e lui no?

Che mi illudevo di conoscerlo? E invece mi ha fregato con quelle pillole bastarde che lo hanno fatto addormentare con lo stereo acceso?

Non parlo, papà. Dai.

Non farmi parlare.

Teo è morto. E mi manca l’aria dentro i polmoni. Teo si è ammazzato. E io non c’ero. Non pensavo. Ero in giro, io.  Teo doveva uccidere anche me. Per non farmi sentire così solo.

Teo è coraggioso. Io no. Ed è per questo che vedo ancora la mia faccia riflessa nel finestrino.

Perché i codardi continuano qui. A impestare questo mondo brutto e sporco di cartone.