“Come si fa, a morire a Manarola” mi dici, con il tuo sarcasmo. E poi mi stringi, mentre camminiamo mano nella mano su per la strada che conduce in alto, al cimitero di questo borgo inerpicato sugli scogli, aggrappato alla vita.
A quanto pare i morti ci sono anche qui.
Sulle nostre teste si staglia l’effigie di pietra con la frase del Cardarelli: una riflessione dolceamara sulla “rosea tristezza della Liguria”. Sotto, invece, c’è il mare.
Il solito famelico mare, che attanaglia sassi grandi come orchi addormentati.
In cielo una danza di nuvole e sole, una diatriba delicata che finirà in pareggio. Intanto ci abbronziamo il viso e assecondiamo le temperature, togliendo e rimettendo felpe e sciarpe. Dalle onde spira una brezza che ha mani pesanti. Le scale della Via dei Bambini sono semplici, adatte a un neofita del cammino. Metto un passo dopo l’altro, ma sento la pressione andare giù. Più salgo, più scendo, scavando negli abissi di me. Non posso più fare questi sforzi: arrivo subito al traguardo. Eppure non perdo tempo ad arrabbiarmi con la malattia: è passato il tempo delle lacrime e delle urla.
Tu te ne accorgi e mi sollevi: “Questa è l’emozione di passeggiare al mio fianco. Ti capisco, sai?” mi dici, sempre con il tuo sarcasmo. E’ un mercoledì di aprile, i turisti sono solo giapponesi dai mille colori, tutti sorridenti, tutti carichi di souvenir. In fondo è un assalto gentile: il cimitero è abituato a queste mandrie ora impetuose, ora delicate. Tra pitosfori e fichi d’india, e agavi e rosmarini odorosi, si decompongono i corpi dei morti. I corpi dei vivi, invece, si appoggiano alla balaustra e chiedono foto ricordo: “foto per la lapide” penso io.
“Fammi una fotografia, dai. Mi sento meglio adesso”.
Scatta amore, trasformami in un essere immortale.
In mezzo a questi morti, in mezzo a questi vivi, dove il cielo si mischia con il mare e non si sa più chi è buono e chi è cattivo. Dove non si dovrebbe mai morire.
Sono trascorsi sei mesi. Ti svegli sudato, anche se il riscaldamento questa notte non funziona. Accendi la luce e mi ritrovi lì, sul comodino. Che bella, questa foto: me l’hai scattata a Manarola. Ci sono io che faccio la posa da turista, la faccia pallida, ma l’espressione serena. Forse non dovevo mettermi davanti al mare: dovevo mettermi qui, davanti al cimitero.
Che bella, questa foto. La mia bocca appena schiusa. Tre giorni prima di morire.
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2 Commenti
madroot
23 Settembre 2016 at 18:45
Francesca Crippa
25 Settembre 2016 at 7:09
Sarà banale ma dico che è una delle mie preferite.
Non è banale, anzi! Grazie di cuore.