Era ora. Che mi guardassi dentro gli occhi. Il male che mi hai fatto lo devi vedere qui, nero in fondo alle pupille. Adesso siamo l’una di fronte all’altra. Tieniti le tue certezze, la tua vita vissuta così, sul pelo dell’acqua. Tanto prima o poi affogherai. Prima o poi verrai a chiedermi un salvagente, una boa.
Smetti di vivere, per me. Esisti soltanto.
Con la maschera del perbenismo e l’empatia della facciata.
Una discarica dorata. Questo sei.
Hai saputo agire bene, sei brava. Hai cercato di portarmi via mia figlia. Ma mia figlia è come me. E nella trama dei tuoi giochi non rimarrà invischiata. Ti usiamo, faccia di vetro. Prima ancora che ci possa usare tu.
Non parlare adesso. Adesso non parlo più nemmeno io. Parlano le mie mani, che ti stringo al collo. Voglio sentirti soffocare.
Giù nell’acqua nera, devi andare. Strega.
La donna sta immersa come un bastone dentro un fiume, un cadavere che vive ancora. Ed è liquido dolce che uccide, ossigeno che manca. Cuore, cuore che esce dalla gola. Si tiene le mani strette come una morsa, poco sotto la mandibola. Preme il suo corpo sul fondo poroso, tenace.
Poi non ce la fa: viene fuori con la bocca spalancata, respiro corto, affannoso.
Ha lividi sul collo. Le unghie spezzate.
Un freddo crudele che le tremano le ossa e il rumore lo potresti sentire anche tu.
Mette i piedi appena fuori dalla vasca, subito. Puoi vedere tutto il suo gocciolare. Si infila l’accappatoio e lava i denti.
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